La piccola grande “Lola”
“Io ho sempre ritenuto di essere stata avvantaggiata, se cosi si può dire, dal fatto di essere cresciuta in una famiglia antifascista, antifascista militante, molto attiva e attiva a ogni prezzo”.
È “Lola” che parla, la stessa che, bambina, chiudendo gli occhi, non vedeva il Duce, come le sue compagne di scuola e come il Direttore della sua scuola elementare pretendeva che facesse.
La piccola “Lola” non vede il Duce, ma innocentemente il buio, perché i suoi le hanno insegnato che la verità è un bene prezioso. Lei non recita la preghiera perchè Dio protegga il Duce, “perché sia conservato a lungo nell’Italia fascista”.
E poi l’irruzione nella casa di Milano degli agenti dell’OVRA, la rabbia furiosa alla ricerca improduttiva di documenti compromettenti; l’arroganza fascista che arresta Ninì, la madre, e la porta a San Vittore, dov’è rinchiuso papà Gino. E lei, la piccola Dolores, con Franco e Loris, i suoi fratelli, mandano in fumo quei documenti compromettenti, evitano a papà e mamma il Tribunale speciale, anche se ancora bambini.
E poi il confino, a Ponza, dove “zii speciali” come Terracini, Spinelli, Pertini diventano suoi grandi maestri. E, poiché è loro vietato entrare in casa, stanno fuori, seduti su una sedia, mentre Dolores, con la porta aperta, ascolta e apprende.
E poi le Tremiti e la separazione dai suoi. E Intra, da nonna Melania, e lei, commessa nella panetteria di zia Olga.
È così che (non ha ancora sedici anni) dopo l’8 settembre diventa la partigiana “Lola” che combatte la sua guerra senza armi e senza bombe, ma spesso nascondendole nella sporta, tra il pane e la farina. È lei la ragazza con sciarpa e cappuccio che accompagna in montagna i renitenti. È lei l’ingannatrice dell’Annona: il pane e la farina sono razionati, serve la tessera e i partigiani non l’hanno, ma la fame sì! Cosi, Dolores, prima di consegnarli all’ufficio dell’Annona, accartoccia i cartellini perché sembrino il doppio, e procura cibo ai ragazzi che sono “su”.
Ma la storia funziona per un po’ e un giorno la chiamano. Lei si schermisce dandosi della pasticciona, ma la faccenda si risolve grazie a una funzionaria che intuisce tutto e la copre. Ma a fine gennaio 1945 è arrestata: una ha fatto il suo nome. Lei nega tutto, anche se il capitano grida, impreca, la schiaffeggia. Minacciano di fucilarla: “Cavolo, mi dispiaceva da morire — ricorderà — ecco, io ho avuto paura, ho avuto paura, però la mia preoccupazione era di non dimostrarglielo”. È rinchiusa, anche se minorenne e senza capi d’accusa, ma interviene la zia. E così partecipa a Milano alla grande manifestazione della Liberazione.
E continua la sua Resistenza.
In Puglia, lavora nel sindacato delle tabacchine e poi in Parlamento in commissione lavoro per lo statuto dei diritti, battendosi per il divorzio e per l’aborto.
Denuncia che a Brescia i padroni stanno assumendo operai raccomandati dalla Cisnal.
Finiti i mandati parlamentari, è a Brescia, sempre combattente: contro la corruzione e il malaffare all’Ospedale Civile, contro la Caffaro, fabbrica di morte per PCB.
E va nelle scuole a raccontare di uomini che hanno fatto della montagna la loro caserma, di donne che non si sono fatte intimidire e li hanno nascosti, nutriti, curati. E sono cresciute.
È così che è diventata grande, la piccola Lola.
Dolores Abbiati nasceva a Brescia il #17marzo 1927. Fu partigiana, poi sindacalista, senatrice e deputata.
A lei è intitolata anche la Commissione scuola dell’ANPI di Brescia (qui).
Testo: Nella Macrì.